Cop30, il clima come bene comune

Nel solco di Papa Francesco

di Oliviero Casale e Gerardo Solimine

Tra il 10 e il 21 novembre 2025 i rappresentanti di quasi tutti i Paesi del mondo si riuniscono a Belém, in Brasile, per la Cop30, la trentesima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Prima ancora delle sessioni ufficiali, tra il 3 e il 9 novembre, si svolgono gli incontri preparatori in cui i delegati affinano le posizioni dei diversi gruppi negoziali: grandi economie industrializzate, Paesi meno sviluppati, piccole isole minacciate dall’innalzamento del mare, Stati africani, Paesi emergenti. Nel linguaggio dei documenti si parla di “Parti della Convenzione”, di “organi sussidiari”, di “sessioni congiunte”, ma al cuore del processo resta una domanda semplice: che cosa vogliamo fare, insieme, di questo pianeta che condividiamo?

Belém non è un luogo qualsiasi. È una porta sull’Amazzonia, uno dei cuori verdi della Terra, dove la crisi climatica e la questione del bene comune diventano immediatamente visibili: deforestazione, incendi, conflitti per la terra; ma anche resistenza di comunità indigene, progetti di conservazione, scelte politiche che possono cambiare la traiettoria di interi ecosistemi. Difendere quella foresta non è un gesto estetico o sentimentale: significa difendere un pezzo essenziale dell’equilibrio climatico globale, qualcosa che appartiene a tutti, anche a chi non metterà mai piede in Amazzonia.

Papa Francesco, all’inizio dell’enciclica Laudato si’, ricorda che la Terra è “casa comune” e insieme “sorella” e “madre”: ci sostiene, ci governa, ci nutre, ma “protesta per il male che le provochiamo” quando la trattiamo come oggetto da saccheggiare e non come dono da custodire.

È un modo profondamente concreto di dire che il clima, l’aria, l’acqua, il suolo non sono proprietà di qualcuno, ma beni comuni affidati alla responsabilità di tutti.

Cop30 arriva precisamente a questo incrocio: tra una crisi ormai evidente e la possibilità di riconoscere – o tradire – il carattere comune del bene climatico.


Dopo il Global Stocktake: la verità dei dati e la responsabilità condivisa

Cop30 si colloca cronologicamente dopo il primo Global Stocktake, la grande “radiografia” collettiva dello stato dell’azione climatica globale prevista dall’Accordo di Parigi. Il bilancio, adottato nel 2023, è stato chiaro: con gli impegni attuali il mondo non è in traiettoria per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C. Lo confermano anche i dati raccolti dall’OCSE nel Climate Action Monitor 2025, che parla di emissioni globali ancora in crescita fino al 2023 e di politiche insufficienti a colmare i gap di mitigazione.

Non si tratta solo di una curva che sale su un grafico: dietro quei numeri ci sono ondate di calore, incendi, siccità, alluvioni, perdita di raccolti, migrazioni forzate. È ciò che Laudato si’ chiama “una sola e complessa crisi socio-ambientale”: la degradazione dell’ambiente naturale e quella dell’ambiente umano procedono insieme, e “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale”.

È qui che l’idea di bene comune diventa decisiva. Se il clima è una condizione di base per la vita dignitosa di miliardi di persone, proteggerlo o distruggerlo non è mai un fatto solo tecnico: è una scelta morale e politica che riguarda il modo in cui concepiamo la giustizia, la solidarietà, la fraternità.

Cop30 è l’anno in cui i Paesi devono presentare una nuova generazione di piani climatici nazionali, i cosiddetti NDC (Nationally Determined Contributions), con un orizzonte al 2035 e un livello di ambizione superiore ai precedenti.

In teoria questi piani dovevano essere comunicati entro l’inizio del 2025; in pratica, a pochi mesi dall’apertura della conferenza molti governi erano ancora in ritardo, come rileva anche lo studio del Parlamento europeo dedicato a Cop30.

Per questo, a Belém non si discute solo di nuove promesse: si misura il divario tra impegni annunciati e azioni reali. È una sorta di esame di coscienza collettivo, in cui ogni Stato deve rispondere – almeno politicamente – a una domanda precisa: quanto siamo disposti a cambiare, davvero, per difendere un bene che non appartiene solo a noi?


Finanza climatica: numeri, giustizia e destino condiviso

Uno dei punti più sensibili dei negoziati riguarda la finanza climatica. Per anni il dibattito si è concentrato sull’obiettivo, mai pienamente raggiunto, dei 100 miliardi di dollari l’anno da mobilitare a favore dei Paesi in via di sviluppo. Oggi è evidente che quella cifra è largamente insufficiente: i bisogni per adattamento, mitigazione, perdite e danni si misurano in migliaia di miliardi.

A partire da COP28 e COP29, il processo negoziale ha portato all’adozione di un nuovo obiettivo collettivo di finanza climatica, con l’idea di arrivare progressivamente a mobilitare fino a 1,3 trilioni di dollari l’anno entro il 2035, con almeno 300 miliardi di fondi pubblici a favore dei Paesi più vulnerabili. Cop30 è il momento in cui questo percorso – la cosiddetta “Baku to Belém Roadmap” – deve cominciare a tradursi in meccanismi concreti, strumenti operativi, criteri di trasparenza.

Qui il linguaggio della finanza incontra quello della dottrina sociale della Chiesa. Laudato si’ ricorda che la politica non deve sottomettersi all’economia, e l’economia non deve sottomettersi alla tecnocrazia, ma deve porsi “al servizio della vita, specialmente della vita umana”, pensando al bene comune e ai più deboli.

Se le risorse vengono mobilitate solo per difendere i patrimoni di pochi, lasciando esposti milioni di persone alla fame, alle alluvioni, alla perdita di territorio, la finanza climatica tradisce il suo scopo. Se invece viene orientata a rafforzare le capacità dei Paesi vulnerabili, a sostenere l’adattamento, a compensare perdite e danni subiti da comunità che hanno contribuito pochissimo alle emissioni storiche, allora diventa uno strumento concreto di giustizia e bene comune.


Mitigazione, adattamento, perdite e danni: tre facce della cura della casa comune

Nei testi negoziali si parla spesso di tre pilastri: mitigazione, adattamento, perdite e danni (Loss & Damage). Dietro queste parole tecniche si nasconde un modo di guardare alla Terra come casa comune.

  • Mitigazione: significa frenare il riscaldamento riducendo drasticamente le emissioni di gas serra e aumentando la capacità degli ecosistemi di assorbirli. È il capitolo che parla di transizione energetica, rinnovabili, efficienza, uscita graduale dai combustibili fossili. Senza mitigazione, la casa comune si scalda fino a diventare inabitabile per molti.
  • Adattamento: riconosce che il clima è già cambiato e continuerà a farlo, anche nello scenario migliore. Si tratta allora di rendere le comunità più resilienti: costruire città più ombreggiate e ventilate, rafforzare le difese costiere, adattare l’agricoltura, proteggere le risorse idriche, sviluppare sistemi sanitari capaci di reggere alle ondate di calore e alle nuove malattie. A Cop30 si lavora alla concretizzazione dell’Obiettivo Globale sull’Adattamento (Global Goal on Adaptation), con indicatori che permettano di capire se il mondo sta davvero proteggendo le popolazioni più esposte.
  • Perdite e danni: riguarda ciò che non si è riusciti – o voluti – evitare, pur sapendo. Case spazzate via da un ciclone, territori resi improduttivi dalla salinizzazione, isole minacciate dall’innalzamento del mare: qui la domanda è dura e diretta, chi paga quando il bene comune climatico è stato compromesso, provocando danni irreversibili a intere comunità?

La costituzione di un Fondo per perdite e danni è stata una delle decisioni più significative delle ultime COP; a Belém il tema torna con forza, perché non basta creare un fondo: bisogna finanziarlo adeguatamente, renderlo accessibile, definirne criteri di giustizia.

Laudato si’ invita a “ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” e ricorda che le conseguenze più pesanti del degrado ambientale cadono sui più deboli. Il pilastro delle perdite e danni è, in fondo, il tentativo di dare una risposta – ancora insufficiente, ma necessaria – a quel grido.


Article 6 e mercati del carbonio: tra integrità e speculazione

Un altro cantiere aperto a Cop30 è quello dell’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che regola la cooperazione internazionale e i meccanismi di mercato per la riduzione delle emissioni. L’idea è che un Paese possa finanziare azioni di mitigazione in un altro Paese (ad esempio un progetto di riforestazione o di energia rinnovabile) e, in certi casi, conteggiare una parte di quei risultati nei propri obiettivi.

Sulla carta, questi strumenti potrebbero facilitare progetti utili al bene comune: protezione delle foreste, transizione energetica nei Paesi con meno risorse, innovazione tecnologica. Ma il rischio è alto:

  • doppio conteggio delle stesse riduzioni;
  • progetti che violano i diritti delle comunità locali;
  • crediti di scarsa qualità che offrono solo un’illusione di “compensazione”;
  • mercati opachi che trasformano il clima in un puro strumento di speculazione.

Per questo, molti attori della società civile chiedono regole severe: integrità ambientale, trasparenza, partecipazione delle comunità, rispetto dei diritti umani. Solo così i meccanismi dell’Articolo 6 possono contribuire alla tutela della casa comune invece di diventarne una nuova forma di sfruttamento.

La dottrina sociale della Chiesa ricorda che il mercato, da solo, non garantisce il bene comune e che “la politica non deve sottomettersi all’economia”. Applicato all’Articolo 6, questo significa che i mercati del carbonio hanno senso solo se incastonati dentro una cornice etica chiara, che riconosca il primato della dignità delle persone e della tutela degli ecosistemi sulle logiche di profitto di breve periodo.


“Casa comune” e “famiglia umana”: la visione di Laudato si’ e Fratelli tutti

Quello che in sede ONU viene chiamato “bene comune globale” trova una forte risonanza nel magistero recente della Chiesa.

Laudato si’ parla della Terra come “casa comune” e denuncia “l’uso irresponsabile e l’abuso dei beni che Dio ha posto in lei”, ricordando che “più di cinquant’anni fa” Paolo VI aveva già avvertito del rischio di una “catastrofe ecologica” provocata dallo sfruttamento sconsiderato della natura.

La crisi ecologica è letta come “grido della terra e grido dei poveri” e come frutto di un’idea distorta di dominio, che dimentica che l’essere umano è parte della natura e non suo padrone assoluto.

Le Schede di lettura della Laudato si’ sintetizzano così: “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Da qui l’idea di “ecologia integrale”: prendersi cura della natura significa anche combattere la povertà, restituire dignità agli esclusi, costruire relazioni sociali giuste.

La fraternità universale descritta da Papa Francesco in Fratelli tutti è il volto umano di questa visione ecologica: “Fratelli tutti, sorelle tutte” non è solo un saluto, ma l’annuncio che siamo “sulla stessa barca”, chiamati a costruire un mondo in cui il “si salvi chi può” non si trasformi nel “tutti contro tutti”.

Cardinale Zuppi, commentando l’enciclica, sottolinea che se non recuperiamo “la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni”, l’illusione di sicurezza crollerà e lascerà spazio alla polarizzazione e ai conflitti.

È un modo diverso di dire ciò che i negoziati sul clima mostrano ogni anno: o il bene comune lo costruiamo insieme, o non lo avremo affatto.


Europa, responsabilità e solidarietà: un laboratorio di bene comune

Nel discorso ai Capi di Stato e di governo dell’Unione Europea per il 60° dei Trattati di Roma, Papa Francesco ha ricordato che all’origine del progetto europeo non c’è solo il calcolo degli interessi economici, ma “una particolare concezione della vita a misura d’uomo, fraterna e giusta”.

Il cuore del progetto, diceva, è la persona, con la sua dignità trascendente, e il primo elemento della vitalità europea è la solidarietà, intesa come volontà di mettere l’unità e il bene comune al di sopra dei soli interessi nazionali. Quando questo spirito viene meno, riemergono muri, diffidenze, conflitti.

Applicato al tema del clima, questo messaggio è chiarissimo: l’Europa può essere laboratorio di bene comune climatico solo se tiene insieme sviluppo, giustizia sociale ed equilibrio ecologico, evitando di ridurre le politiche ambientali a oneri tecnici o a strumenti di competizione interna.

Laudato si’ invita a pensare la politica e l’economia “in dialogo, al servizio della vita” e non piegate a una logica di profitto che genera “precarietà e insicurezza” e alimenta la cultura dello scarto. Cop30, nel contesto globale, chiede all’Europa e agli altri attori storicamente più responsabili delle emissioni di assumere fino in fondo questo ruolo: non solo leader tecnologici, ma costruttori di giustizia climatica.


Educazione, partecipazione, cittadinanza ecologica

Le COP non sono fatte solo di capi di Stato. Intorno e dentro la Cop30 si muovono delegazioni di giovani, associazioni, comunità indigene, città, università, movimenti di base. Una parte di questo fermento è collegata a un pilastro poco conosciuto ma fondamentale: ACE – Action for Climate Empowerment.

ACE comprende educazione, formazione, accesso all’informazione, partecipazione pubblica, collaborazione internazionale. È l’idea che senza cittadini informati e coinvolti la migliore delle strategie climatiche resta lettera morta.

La guida dell’UNESCO “Let’s talk about COP30” traduce questo in percorsi per le scuole: invita studenti e studentesse a comprendere che cos’è una Conferenza delle Parti, a collegare le decisioni di Belém con le esperienze quotidiane, a immaginare messaggi da inviare ai negoziatori.

Anche Laudato si’ insiste sulla educazione alla “cittadinanza ecologica”, che non si limita a informare ma propone stili di vita nuovi, capaci di “esercitare una sana pressione” su chi detiene il potere politico ed economico. Si parla di piccoli gesti – ridurre sprechi, differenziare i rifiuti, usare meno plastica, risparmiare acqua, preferire il trasporto pubblico, piantare alberi – come parte di una conversione ecologica più profonda, personale e comunitaria.

La logica è la stessa che anima Cop30: tutto è collegato, e la casa comune si custodisce con decisioni globali e scelte quotidiane, con trattati internazionali e con abitudini di consumo, con politiche industriali e con relazioni di prossimità.


Giustizia intergenerazionale: il bene comune nel tempo

Quando parliamo di bene comune, spesso pensiamo a qualcosa che condividiamo nello spazio: un parco, una piazza, un fiume, l’aria di una città. Il clima ci costringe ad allargare lo sguardo: il bene comune climatico è anche quello che condividiamo nel tempo, con le generazioni che verranno.

Laudato si’ parla apertamente di “debito ecologico” lasciato ai bambini e ai giovani, e chiede: “Che tipo di mondo vogliamo lasciare a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?”.

È una domanda che Cop30 rende politicamente concreta: gli obiettivi al 2035 e al 2050 non sono numeri astratti, ma descrizioni implicite del mondo in cui vivranno i nostri figli e nipoti.

Nel suo magistero, Papa Francesco ha più volte insistito sul fatto che il clima – come la pace – è un terreno dove si misura la nostra fedeltà alla responsabilità verso le generazioni future: nessuno ha il diritto di ipotecare il futuro degli altri per preservare intatti i propri privilegi presenti.

Quando a Belém si discute se alzare o abbassare un obiettivo, se accelerare o rallentare l’uscita dai combustibili fossili, se finanziare o no gli adattamenti nei Paesi vulnerabili, è come se, invisibilmente, nella sala fossero presenti anche i bambini che oggi non votano, non negoziano, non siedono ai tavoli, ma che erediteranno le conseguenze di quelle decisioni.


Oltre il fatalismo e l’illusione: la via esigente del bene comune

Di fronte alla crisi climatica è facile rifugiarsi in due atteggiamenti opposti ma ugualmente paralizzanti:

  • il fatalismo (“è troppo tardi, non c’è più niente da fare”);
  • l’illusione tecnologica (“qualche soluzione miracolosa ci salverà all’ultimo minuto”).

Laudato si’ mette in guardia da entrambi: da una parte invita a riconoscere “la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida” che ci sta davanti, dall’altra critica la “fiducia cieca nelle soluzioni tecniche” che sposta sempre più in là le decisioni difficili.

Il bene comune chiede una terza via, più esigente: prendere sul serio sia i limiti del pianeta sia le potenzialità della cooperazione umana, sapendo che ogni decimo di grado di riscaldamento evitato, ogni ecosistema protetto, ogni comunità resa più resiliente fanno una differenza concreta in termini di vite, lavoro, salute.

Cop30 non è il luogo dei miracoli, né l’ultima occasione in assoluto. Ma è uno di quei momenti in cui l’umanità può scegliere se rallentare la corsa verso scenari catastrofici o rimanere ferma a guardare. È uno specchio delle nostre priorità, delle nostre paure, ma anche delle nostre speranze.


Un invito a riconoscere e custodire il bene comune

Guardata con gli occhi del bene comune, Cop30 non è solo una conferenza di capi di Stato, ma un passaggio di responsabilità tra generazioni, tra popoli, tra credenti e non credenti.

La domanda che la attraversa – anche quando non viene esplicitata – è semplice e radicale: siamo disposti a trattare il clima, l’ambiente, la Terra come beni condivisi, da custodire con cura e giustizia, o continueremo a viverli come un magazzino da svuotare finché ce n’è?

Papa Francesco scrive che “la sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”, e invita a una “nuova solidarietà universale”.

Cardinale Zuppi, rileggendo Fratelli tutti, parla di una “alleanza inclusiva” che sostituisca la logica delle contrapposizioni e dei muri con quella dei ponti e dell’incontro.

Cop30 è uno dei luoghi in cui questa alleanza può cominciare a prendere forma, pur tra limiti, fragilità, compromessi imperfetti. Ma perché questo avvenga non basta il lavoro dei tecnici e dei negoziatori: serve una coscienza diffusa del clima e dell’ambiente come bene comune.

Significa:

  • riconoscere che la casa comune è ferita, ma non irreparabilmente;
  • capire che la giustizia climatica è parte integrante della giustizia sociale;
  • sostenere politiche coraggiose, anche quando chiedono cambiamenti nei nostri stili di vita;
  • educare le nuove generazioni a sentirsi parte di una “famiglia universale”, in cui “tutto è collegato”.

In questo senso, nessuno può davvero girarsi dall’altra parte. Non possiamo controllare da soli l’esito di una conferenza mondiale, ma possiamo scegliere da che parte stare: dalla parte dell’indifferenza o da quella della cura; dalla parte dell’egoismo miope o da quella del bene comune; dalla parte di chi considera il clima un problema per esperti o da quella di chi lo riconosce come il respiro stesso della nostra vita condivisa.


Bibliografia essenziale

  • UNFCCC, COP 30 Overview Schedule 2025
  • European Parliament, The COP30 Climate Change Conference (ECTI_STU(2025)778579_EN)
  • OECD, The Climate Action Monitor 2025
  • UNESCO, Let’s talk about COP30 – Teacher’s Guide
  • Papa Francesco, Laudato si’ – Sulla cura della casa comune
  • Caritas/Migrantes, Schede per la lettura e la riflessione sulla Laudato si’
  • Card. Matteo Maria Zuppi, Discorso per l’inaugurazione del 462° Anno Accademico – “I pilastri per una convivenza pacifica alla luce di Fratelli tutti”
  • Card. Matteo Maria Zuppi, Introduzione al Consiglio Permanente della CEI (27 maggio 2025)
  • Papa Francesco, Discorso ai Capi di Stato e di governo dell’Unione Europea per il 60° dei Trattati di Roma (24 marzo 2017)

INVITO per mercoledì 26 novembre 2025

Spettabile Dirigente,

con la presente e-mail abbiamo il piacere di invitarLa a partecipare all’evento lancio del triennio “A.Mi.Co.”

L’incontro si terrà mercoledì 26 novembre, dalle ore 14:30 alle ore 17:00, presso l’Aula Magna del Liceo “A.B. Sabin” (scuola capofila).

All’evento interverranno:

  • Dott.ssa Rossella Fabbri (Dirigente Scolastica del Liceo “Sabin”);
  • Dott. Marco Antonio Imbesi (Presidente di AICQ Emilia-Romagna e dell’Assemblea Nazionale AICQ);
  • Un rappresentante dell’Ufficio Scolastico Regionale;
  • Il team di docenti dedicato al percorso sui processi organizzativi e didattici;
  • Dott. Nerino Arcangeli, che curerà la sezione sulle relazioni con un percorso triennale di Mindfulness.
  • Chairman
  • Dott.ssa Elena Marcato – Docente Scuola Secondaria di primo grado distaccata presso Facoltà di Scienze della Formazione Primaria – Università di Bologna

Per confermare la Sua partecipazione, La preghiamo di compilare il modulo di iscrizione disponibile al seguente link: https://forms.gle/DF4feNpvjkA7YnXE6

Cordiali saluti,

Analisi elementi del decreto-legge  116/2025

L’analisi del decreto-legge  116/2025 e delle sue implicazioni per la sostenibilità e i bilanci di sostenibilità, in italiano.

Di Giacomo Dalseno

Revisore legale 27/09/2025


25 settembre 2025

SENATO DELLA REPUBBLICA

D.L. 116/2025 – A.C. 2623 – PASSAGGIO PRIMA DELLA CAMERA – DA CONVERTIRE

Disposizioni urgenti per il contrasto alle attività illecite in materia di rifiuti, per la bonifica dell’area denominata Terra dei fuochi, nonché in materia di assistenza alla popolazione

Questo decreto ha implicazioni significative per la sostenibilità e la reportistica aziendale, principalmente perché aumenta i rischi legali e finanziari associati a una cattiva gestione ambientale.

Rafforza il quadro normativo contro le attività illecite legate ai rifiuti, creando un potente incentivo per le aziende ad adottare pratiche di sostenibilità più solide e trasparenti.

Questa è una prima analisi, vedremo nuovamente le problematiche  in essere dopo la sua conversione

Implicazioni per la Sostenibilità Aziendale

Il decreto intensifica le conseguenze legali dei reati ambientali, spingendo le aziende verso modelli operativi più sostenibili. Gli impatti principali sono:

  • Maggiore Responsabilità Aziendale: La legge introduce nuovi reati ambientali e trasforma diverse contravvenzioni esistenti in delitti più gravi, come quelli relativi alla gestione non autorizzata di rifiuti e alla realizzazione di discariche abusive. Questa elevazione dei reati comporta sanzioni più severe e un maggiore controllo sulle operazioni aziendali.


  • Inasprimento delle Sanzioni: Le sanzioni per l’abbandono o la gestione illecita di rifiuti sono state notevolmente aumentate. Ad esempio, la sanzione pecuniaria per l’abbandono di rifiuti non pericolosi viene elevata a un importo compreso tra 1.500 e 18.000 euro, e i nuovi reati di abbandono di rifiuti pericolosi sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni.


  • Impatto Diretto sulle Operazioni Commerciali: Per i reati che coinvolgono veicoli, come l’abbandono di rifiuti tramite un mezzo a motore o il trasporto di rifiuti senza la documentazione adeguata, il decreto introduce o rafforza sanzioni accessorie come la sospensione della patente di guida e la confisca del mezzo. Ciò ha un impatto diretto sulle operazioni di logistica e trasporto.


  • Estensione della Responsabilità degli Enti (D.Lgs. 231/2001): L’articolo 6 amplia esplicitamente l’ambito di applicazione del Decreto Legislativo 231/2001, che regola la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche5. Il decreto aumenta le sanzioni pecuniarie per reati ambientali esistenti come l’inquinamento e il disastro ambientale 6e ne aggiunge di nuovi, come le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Ciò significa che le aziende possono essere ritenute direttamente responsabili e pesantemente multate per reati ambientali commessi nel loro interesse o a loro vantaggio.


  • Sanzioni Interdittive: Il decreto rafforza l’applicazione di sanzioni che possono bloccare le attività commerciali. Queste includono la sospensione dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali e, per i reati più gravi, l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività. Inoltre,

    l’articolo 2-bis introduce una nuova misura critica: i soggetti condannati per gravi reati ambientali subiscono un’interdizione (da uno a cinque anni) dal ricevere licenze, contratti pubblici e finanziamenti governativi, il che impatta direttamente sulla capacità di un’azienda di operare e crescere.



Implicazioni per il Bilancio di Sostenibilità

Il decreto rende la conformità ambientale una componente ancora più critica della gestione del rischio aziendale, aspetto che deve essere riflesso nei bilanci di sostenibilità.

  • Maggiore Trasparenza sui Rischi: L’introduzione di nuovi reati e sanzioni più severe eleva la cattiva gestione ambientale da semplice questione di conformità a rischio strategico di primaria importanza. Le aziende, in particolare in settori come trasporti, logistica e manifatturiero, devono aggiornare le loro valutazioni dei rischi. I bilanci di sostenibilità dovranno comunicare in modo trasparente questi maggiori rischi legali e finanziari, comprese le potenziali multe significative e le interruzioni dell’attività.
  • Modelli di Governance e Conformità (Modello 231): Con l’estensione della responsabilità ai sensi del D.Lgs. 231/2001 per i reati ambientali, le aziende devono dimostrare di aver adottato e di implementare efficacemente modelli organizzativi (Modelli 231) per prevenire tali illeciti. Il bilancio di sostenibilità è la sede appropriata per descrivere le strutture di governance, i controlli interni, i programmi di formazione e le attività di audit messe in atto per mitigare il rischio di commettere questi reati.
  • Due Diligence sulla Catena di Fornitura: Le severe sanzioni per il trasporto e la gestione impropria dei rifiuti impongono alle aziende di intensificare la loro due diligence sui fornitori di servizi terzi (ad es. società di logistica e smaltimento). I report di sostenibilità dovrebbero delineare le politiche e le procedure per la selezione e il monitoraggio dei partner della catena di fornitura, al fine di garantire la loro conformità con le nuove e più stringenti normative ambientali.
  • Trasparenza sui Costi di Bonifica e Prevenzione: Il decreto rafforza gli obblighi di ripristino ambientale e bonifica a carico dei soggetti responsabili. Le aziende potrebbero dover accantonare fondi per potenziali interventi di bonifica. Inoltre, gli investimenti in tecnologie e processi per prevenire l’inquinamento e migliorare la gestione dei rifiuti diventano indicatori chiave di una strategia di sostenibilità proattiva, meritevoli di essere inclusi nel report.
  • Focus sulla “Terra dei Fuochi”: Sebbene l’articolo 9 si concentri sui finanziamenti pubblici per la bonifica della “Terra dei Fuochi” 10, conferisce al Commissario incaricato il potere di agire in rivalsa nei confronti dei soggetti responsabili per il recupero delle somme spese11. Le aziende che hanno operato in questa regione o che da essa si sono approvvigionate di materiali potrebbero affrontare un maggiore controllo e potenziali passività, un rischio contingente che dovrebbe essere trattato nella loro reportistica.

Modelli di Governance e Conformità (Modello 231) Approfondimento:


Le disposizioni relative all’estensione della responsabilità degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001 si trovano nell’

Articolo 6 del decreto, intitolato “Responsabilità amministrativa degli enti in caso di commissione di reati ambientali”.

Questo articolo modifica direttamente l’articolo 25-undecies del decreto legislativo n. 231 del 2001

, che è la norma di riferimento per i reati ambientali che fanno scattare la responsabilità amministrativa delle aziende.


Dettagli delle Modifiche dell’Articolo 6

L’articolo 6 interviene in diversi modi per rafforzare la responsabilità delle aziende e, di conseguenza, la necessità di adottare e aggiornare i Modelli 231:

  • Ampliamento del Catalogo dei Reati: Viene allargata la lista dei reati che, se commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente, comportano una sua responsabilità diretta. Tra i nuovi reati presupposto inseriti ci sono:
    • Abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari (art. 255-bis del Testo Unico Ambientale – TUA).
    • Abbandono di rifiuti pericolosi (art. 255-ter TUA).
    • Combustione illecita di rifiuti (art. 256-bis TUA).
    • Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies del codice penale).
  • Aumento delle Sanzioni Pecuniarie: Per molti reati ambientali già previsti, le sanzioni pecuniarie a carico dell’ente sono state aumentate. Ad esempio, sono state inasprite le pene per:
    • Inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.).
    • Disastro ambientale (art. 452-quater c.p.).
    • Attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256 TUA).
  • Estensione delle Sanzioni Interdittive: Viene ampliata l’applicazione delle sanzioni interdittive, che sono le più temute dalle aziende perché possono bloccarne l’attività. Ora si applicano anche per reati come:
    • Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452-sexies c.p.).
    • Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.).
    • Combustione illecita di rifiuti (art. 256-bis TUA).

In sintesi, è l’Articolo 6 il fulcro della riforma per quanto riguarda la responsabilità 231, rendendo indispensabile per le aziende rivedere i propri modelli di governance per prevenire la commissione di questi reati, ora sanzionati più pesantemente.

Implicazioni per il Modello 231 e TABELLE DIDATTICHE

  • Aggiornamento del catalogo reati → Inserimento dei nuovi reati ambientali.
  • Revisione delle aree a rischio → Mappatura aggiornata dei processi aziendali coinvolti.
  • Formazione interna → Sensibilizzazione su condotte illecite e responsabilità.
  • Controlli e protocolli → Rafforzamento delle misure preventive e dei flussi autorizzativi.

Sistema disciplinare → Adeguamento delle sanzioni interne in caso di violazioni

1. Rafforzamento della Responsabilità dell’Ente

Leva normativaEffettoImplicazioni operative
Ampliamento del catalogo dei reatiPiù reati presupposto ambientaliAggiornamento del risk assessment e delle aree sensibili
Aumento delle sanzioni pecuniarieMaggior impatto economicoRafforzamento dei controlli e delle procedure
Estensione delle sanzioni interdittiveRischio di blocco attivitàNecessità di misure preventive e formazione mirata


2. Nuovi Reati Presupposto Ambientali (da integrare nel Modello 231)

ReatoRiferimento normativoTipologia di rifiuto
Abbandono di rifiuti non pericolosiArt. 255-bis TUANon pericolosi, in casi particolari
Abbandono di rifiuti pericolosiArt. 255-ter TUAPericolosi
Combustione illecita di rifiutiArt. 256-bis TUAQualsiasi tipologia
Traffico illecito di rifiutiArt. 452-quaterdecies c.p.Organizzazione criminale

3. Reati Ambientali con Sanzioni Pecuniarie Inasprite

ReatoRiferimentoImpatto
Inquinamento ambientaleArt. 452-bis c.p.Danno diffuso all’ambiente
Disastro ambientaleArt. 452-quater c.p.Evento catastrofico
Gestione non autorizzata di rifiutiArt. 256 TUAAttività fuori dai limiti autorizzativi

4. Reati con Sanzioni Interdittive Estese

ReatoRiferimentoRischio per l’ente
Materiale radioattivoArt. 452-sexies c.p.Blocco attività, revoca autorizzazioni
Traffico illecito di rifiutiArt. 452-quaterdecies c.p.Interdizione da appalti pubblici
Combustione illecitaArt. 256-bis TUASospensione licenze

Ecco un glossario esplicativo modulare, pensato per facilitare la comprensione e l’aggiornamento dei Modelli 231 in base ai contenuti dell’Articolo 6 e ai riferimenti normativi citati nel documento:


Glossario Esplicativo – Articolo 6 e Responsabilità 231

Termine / NormaSpiegazioneImplicazioni per il Modello 231
Articolo 6 D.Lgs. 231/2001Disciplinare cardine che definisce le condizioni per l’esonero della responsabilità dell’ente, se ha adottato ed efficacemente attuato un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo.Va aggiornato per includere nuovi reati e rafforzare i presidi di prevenzione.
Modello 231Sistema organizzativo interno che mira a prevenire la commissione di reati da parte di soggetti apicali o sottoposti.Deve essere dinamico, aggiornato e coerente con il rischio ambientale e normativo.
Reati Presupposto AmbientaliReati che, se commessi nell’interesse o vantaggio dell’ente, attivano la responsabilità amministrativa.Vanno integrati nel catalogo reati del Modello 231.
TUA (Testo Unico Ambientale)D.Lgs. 152/2006: raccoglie la normativa ambientale italiana. Gli articoli 255-bis, 255-ter, 256, 256-bis sono stati inseriti tra i reati presupposto.Serve mappatura dei processi aziendali che impattano sull’ambiente.
Codice Penale – Titolo VI-bisSezione dedicata ai delitti contro l’ambiente. Include reati come inquinamento ambientale (452-bis), disastro ambientale (452-quater), traffico illecito di rifiuti (452-quaterdecies).Richiede formazione specifica e protocolli di controllo.
Sanzioni PecuniarieAmmende economiche a carico dell’ente in caso di condanna. Sono state aumentate per diversi reati ambientali.Impatto diretto sul bilancio e sulla reputazione.
Sanzioni InterdittiveMisure che limitano o sospendono l’attività dell’ente (es. divieto di contrattare con la PA, sospensione licenze).Rischio elevato: necessità di presidi efficaci e verificabili.
Combustione illecita di rifiuti (Art. 256-bis TUA)Reato ambientale che punisce la distruzione non autorizzata di rifiuti, spesso legata a fenomeni criminali.Va previsto nel Modello 231 con protocolli di tracciabilità e controllo.
Traffico illecito di rifiuti (Art. 452-quaterdecies c.p.)Reato che coinvolge organizzazioni criminali nella gestione illegale dei rifiuti.Richiede analisi dei fornitori e dei flussi logistici.
Materiale ad alta radioattività (Art. 452-sexies c.p.)Reato che punisce il traffico e l’abbandono di sostanze radioattive.Rilevante per settori industriali specifici: serve presidio tecnico e normativo.

Regolamento CBAM – Adempimenti e scadenze per le imprese nel perseguimento degli obiettivi climatici UE – parte seconda

Di Ivana Brancaleone
Francesco C. Barbieri

Il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) è la nuova disciplina prevista dal Regolamento (UE) n. 2023/956 che definisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere per alcune tipologie di merci a maggior intensità di carbonio importate nell’Unione Europea da Paesi extra UE, prevedendo una nuova entrata fiscale e come misura per contrastare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Il CBAM rappresenta un elemento essenziale del Green Deal europeo, in cui si colloca l’insieme di proposte “Fit for 55” (Pronti per il 55%) che mirano a ridurre, entro il 2030, le emissioni di gas a effetto serra (“GHG” Greenhouse gas) in atmosfera di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica della UE entro il 2050.

Regolamento CBAM – Adempimenti e scadenze per le imprese nel perseguimento degli obiettivi climatici UE – parte prima

di Ivana Brancaleone e
Francesco C. Barbieri

Il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) è la nuova disciplina prevista dal Regolamento (UE) n. 2023/956 che definisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere per alcune tipologie di merci a maggior intensità di carbonio importate nell’Unione Europea da Paesi extra UE, prevedendo una nuova entrata fiscale e come misura per contrastare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Il CBAM rappresenta un elemento essenziale del Green Deal europeo, in cui si colloca l’insieme di proposte “Fit for 55” (Pronti per il 55%) che mirano a ridurre, entro il 2030, le emissioni di gas a effetto serra (“GHG” Greenhouse gas) in atmosfera di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica della UE entro il 2050.

Economia circolare e cambiamenti climatici: evoluzione normativa e strumenti volontari per le PMI – Di Ivana Brancaleone

Come le PMI (Piccole e Medie Imprese) possono anticipare gli obblighi cogenti ed avere un vantaggio competitivo, conoscendo e adottando gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e gli strumenti volontari disponibili per agevolare l’economia circolare ed attuare strategie di mitigazione o adattamento ai cambiamenti climatici.

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CONSIGLIO DIRETTIVO AICQ EMILIA ROMAGNA E MARCHE triennio 2024/2027

DAL 26 SETTEMBRE 2024

IMBESI MARCO –  PRESIDENTE

CASALE OLIVIERO –  SEGRETARIO

DALSENO GIACOMO – VICE PRESIDENTE

FATO MASSIMO – VICEPRESIDENTE

RINALDI PAOLA – VICE PRESIDENTE

SARTI GIAMPAOLO – VICE PRESIDENTE

CONSIGLIERI

MIGNARDI PIERO (past president)

BERGHELLAMONIA

BIAGI GIANMARCO

BRANCALEONE IVANA

CANONETTI MARCO

CERVEGLIERI FABRIZIO

IUBATTI MATTEO

LODI LEONARDO

MINARINI ANDREA

VESPUCCI VITTORIO

ISSA 5000 e la crescente domanda globale di informazioni climatiche e sulla sostenibilità, ESG (ambientale, sociale e di governance)

In questo n.2/2024 della Rivista Qualità, G. DALSENO, Revisore Legale, Vicepresidente del Consiglio Nazionale dell’Unione Nazionale Revisori Legali e Coordinatore del Gruppo ESG di AICQ ER, illustra i contenuti della nuova Norma ISSA 5000 (International Standard on Sustainability Assurance 5000), la cui entrata in vigore è prevista nel 2024.

ISSA 5000 (Internatonal Standard on Sustainability Assurance 5000) è una norma internazionale proposta sulla
sustainability assurance (garanzia di sostenibilità), che ha lo scopo di migliorare la fiducia nei report di sostenibilità
delle Organizzazioni. La norma in esame:
I) stabilisce i requisiti generali per le garanzie di sostenibilità, applicabili
a qualsiasi informazione di sostenibilità riportata su qualunque argomento di sostenibilità e preparata secondo diversi
quadri di riferimento;
II) fornisce una guida pratica e flessibile ai verificatori/garanti, sia contabili che non, per
condurre gli incarichi di assurance di sostenibilità in modo efficace ed efficiente;
III) presenta implicazioni positive
per il futuro della rendicontazione di sostenibilità (in termini di qualità, coerenza, comparabilità, integrazione e convergenza);
IV) è stata sottoposta a consultazione pubblica fino a dicembre 2023 e si prevede che sarà finalizzata
e pubblicata nel 2024.

La norma va in sostituzione della ISAE 3000 usata per la DNF (Dichiarazione Non Finanziaria); essa rappresenta una guida pratica per i verificatori/garanti, sia contabili che non contabili, nel condurre gli incarichi di assurance di sostenibilità, in particolare le verifiche di parte terza dei report di sostenibilità secondo la nuova Direttiva europea CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive).
Infatti, i framework presi a riferimento dalla norma si basano sui Sustainability Disclosure Standards IFRS S1 e S2 (International Financial Reporting Standards S1 e S2) recentemente pubblicati, gli ESRS (European Sustainability Reporting Standards) pubblicati nel 2023 da EFRAG per mandato dell’UE e gli standard del GRI. Nei prossimi anni le dichiarazioni di sostenibilità da parte delle Organizzazioni si moltiplicheranno coinvolgendo non solo le imprese che vi saranno obbligate, ma anche le piccole imprese delle varie filiere. Ecco che le aziende dovranno assoggettarsi a controlli e certificazioni indipendenti per assicurare che i dati forniti siano affidabili e comparabili.
La CSRD impone alle aziende coinvolte l’obbligo di essere inizialmente soggette alla c.d. “limited assurance” da parte di un accreditato «statutory auditor», nella prospettiva di raggiungere la “reasonable assurance” tipica del bilancio economico-finanziario. La ISSA 5000 fornisce ai professionisti che si preparano a svolgere questo essenziale compito di garanzia tutte le indicazioni per svolgerlo in conformità ai regolamenti europei ed internazionali e per contribuire a salvaguardare la credibilità delle informazioni divulgate dalle aziende ai propri stakeholder in materia di tutela ambientale, promozione sociale ed efficacia organizzativa.